venerdì 25 dicembre 2015

C'era una volta ... hotel a Roma

Nella notissima piazza antistante il Pantheon, facendo attenzione si nota una targa che riproduciamo:

foto a.p.

E' un ricordo del fatto che qui nel 1513 dormì Ludovico Ariosto. C'era infatti un albergo (o meglio locanda) che era chiamato "del Montone". Qualche decennio dopo l'esercizio cambiò nome e venne chiamato albergo "del Sole".
Nella Roma del periodo rinascimentale le locande non mancavano anche se bisognava spesso accontentarsi. E qualche volta dovevano adattarsi anche i numerosi seguiti di personaggi importanti. Le locande più numerose erano ovviamente nei pressi di San Pietro: fra i quartieri di Ponte e Borgo c'era una settantina abbondante di esercizi.
Non erano pochi gli alberghetti in zona Campo dei Fiori che all'epoca era un po' in espansione. Una locanda che viene qualche volta menzionata è quella che era chiamata "Croce bianca". 
Fra i "turisti" in genere erano nominate la locanda dell' Orso e quella del Leone. 
All'epoca del successivo Grand Tour i visitatori spesso alloggiavano negli alberghetti che si trovavano.
E gli interessati possono pure visitare, in quel di Ariccia, alcuni ambienti dell'antica locanda Martorelli (ci sono degli affreschi di Taddeo Kuntze e vi soggiornò pure William Turner ).

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ALTRO HOTEL, ALTRA STORIA...



Parte importante dell'hotel Flora -in via Veneto- durante l'occupazione tedesca di Roma fu in buona parte requisito dai nazisti anche per destinarvi alcuni uffici.
In quei giorni vi fu condotto pure Luchino Visconti che però fu presto liberato forse per l'interessamento dell'attrice Maria Denis.
Il 19 dicembre 1943 alcuni partigiani sistemarono alcune esplosivi nella parte esterna e crearono seri danni al pianterreno.

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L'ALBERGO CON AFFRESCO

Restando in via Veneto va segnalato un ampio affresco realizzato da Guido Canorin (anni 1926-27) in un salone dell'ex hotel Ambasciatori (ora Grand Hotel Palace).


Negli affreschi sono rappresentati diversi personaggi della mondanità del tempo. E fra questi ci sarebbe anche Margherita Sarfatti.

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giovedì 17 dicembre 2015

Papa, figlio di pontefice

Non erano ancora i tempi del nepotismo ma nella storia più antica della Chiesa ci fu il caso di un papa che era figlio di un precedente pontefice. Ed entrambi sono santi.

illustrazione da wikipedia

Si tratta di papa Silverio (480-537) al numero 58 nella cronologia dei papi. Sembra fosse originario di quella zona del Lazio meridionale che ora è denominata Ciociaria. Fu eletto nel 1536 ma l'anno seguente fu costretto a dimettersi mentre era in esilio a Palmaria (isole pontine) per un'intricata vicenda politica del tempo (a Roma c'erano i goti).
San Silverio è fra l'altro patrono dell'isola di Ponza. Silverio e il padre sono invece entrambi festeggiati a Frosinone.

copertina di un antico volume

Suo padre era infatti papa Omisda (pontefice dal 514 al 523). Prima di avviarsi al sacerdozio era stato sposato e durante il matrimonio era nato il futuro papa Silverio. Non è escluso che vi sia capitato di spedire qualche lettera con il francobollo italiano emesso in ricordo di quest'ultimo papa.



festa di San Silverio a Ponza



lunedì 14 dicembre 2015

Una principessa orientale in Germania

In un momento storico in cui si crearono improvvisamente alcune necessità strategiche, l'Impero Bizantino, volle che la principessa Theophanu sposasse quello che all'epoca era l'erede al trono del Sacro Romano Impero in Germania (futuro Ottone II). Era l'anno 972.
Poco prima Liutprando di Cremona, ambasciatore dell'imperatore tedesco, era tornato da Costantinopoli parecchio costernato in quanto i bizantini non erano molto motivati ad avere buoni rapporti con i tedeschi. 
I modi orientali della principessa inizialmente lasciarono molto interdetti i tedeschi ma poi le cose andarono benino. Qualcuno sostiene che la bella ragazza fosse di origini armene.


statua dell'imperatrice a Eschwege- foto Kristin Weber (wikipedia)

Quando nel 983 l'imperatore morì a Roma, in quanto madre di Ottone III, Theophanu  fu anche reggente.
La donna è ricordata fra l'altro per aver introdotto in Europa occidentale il culto di San Nicola.


il sarcofago a Colonia

La sua tomba si trova nell'antica chiesa di San Pantaleone a Colonia. Vi fu trasportata dopo la sua morte a Nijmegen (ora Olanda) nell'anno 991.

chiesa di San Pantaleone

Una statua di Theophanu (Teofano) è posta anche sulla facciata della famosa cattedrale di Colonia.

sabato 12 dicembre 2015

Quando i pisani andarono alle Baleari...

Ai tempi odierni sicuramente molti pisani approfittano di qualche volo in partenza dall'aeroporto Pisa Galilei (in San Giusto) per raggiungere Palma di Maiorca, ma questo percorso fu fatto dagli antichi pisani già diversi secoli fa. Nel 1114 fu infatti organizzata, con l'aiuto di catalani e pochi altri, una spedizione per conquistare le isole Baleari che all'epoca erano controllate dagli islamici. Poco prima, nel 1109 circa, c'era stato anche un tentativo (particolarmente concentrato sull'isola di Formentera) a cura della c.d. crociata norvegese diretta da re Sigurd.


Sigurd e la regina in un francobollo norvegese

Tuttavia il controllo cristiano delle isole fu veramente effimero. 
Per chi vuole approfondire si trova qualche testo dell'epoca (in latino) anche su internet. Ad esempio: Gesta Triumphalia per Pisanos Facta


Palazzo Gambacorti -Pisa (vecchia foto)


Qualche evidenza di questi lontani fatti si trova ancora oggi in qualche antica lapide ma anche negli affreschi seicenteschi che decorano Palazzo Gambacorti. Un recente murale è poi visibile presso la stazione ferroviaria di Pisa.
In tutti i casi i pisani, per la brevissima permanenza, non lasciarono nessuna influenza artistica a Palma di Maiorca. Evidenti sono invece gli influssi dell'arte pisana in Sardegna e in Corsica.

approfondimenti:



domenica 6 dicembre 2015

1855: incidenti e mali

Il 12 aprile 1855 in una palazzina annessa al complesso di Sant'Agnese fuori le mura, si verificò un incidente.


il campanile di Sant'Agnese fuori le mura, foto a.p.

Papa Pio IX era in visita ed improvvisamente cedette il pavimento. Con lui, a quanto sembra, furono coinvolte parecchie persone ma nessuno subì danni gravi.
Qualche tempo dopo il pittore Domenico Toietti affrescò una parete in loco in ricordo del fatto ritenuto miracoloso.
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In quel periodo c'erano anche delle particolari tensioni fra la dinastia Savoia e lo Stato pontificio. Mancavano pochi anni alle imprese di Garibaldi nel sud Italia e tre lustri alla breccia di Porta, ma c'erano già diverse polemiche perchè il parlamento sabaudo stava votando una legge contro gli ordini religiosi. Sulla questione intervenne anche Don Bosco con alcune strane lettere inviate al re Vittorio Emanuele II e il contenuto non era certamente augurale. La prima missiva era del dicembre 1854 ma ne seguirono altre. Alcuni storici annotano, comunque, che proprio nei primi mesi del 1855 ci furono diversi lutti in casa Savoia.
Ancora: alla fine di quell'aprile del 1855 un contingente del regno di Sardegna si imbarcava a Genova per la spedizione in Crimea (e il primo problema fu un' epidemia di colera).

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approdondimento lettere Don Bosco: sul Corriere della Sera

martedì 1 dicembre 2015

Balestrieri di poppa

Nelle navi veneziane, finchè non furono introdotti gli archibugi, erano normalmente imbarcati dei balestrieri che spesso erano addestrati in luoghi attigui a Venezia (nei pressi della chiesa di San Nicolò al Lido, a Murano, Torcello).
In un certo periodo la Repubblica di Venezia volle organizzare meglio la cosa e stabilì anche delle regole. Le necessità erano effettive perchè i veneti avevano numerosi fondaci nel Mediterraneo e i commerci con il Levante erano sempre sostenuti.


navi a Corfù in un'incisione di Erhard Reuwich (wikipedia)

Fra le varie norme era previsto che su ogni nave ci fosse un minimo di balestrieri sufficientemente addestrati che ovviamente ricevevano una paga.  Poco più tardi (inizio XV) per favorire, come possibile, le famiglie nobili che non avevano molte possibilità di guadagni, fu stabilito che su ogni nave ci fossero almeno quattro giovani nobili che normalmente stavano a poppa e, a differenza di altri imbarcati, avevano il diritto di consumare i loro pasti al tavolo del comandante.
Successivamente i "balestrieri di poppa" furono elevati a sei e occasionalmente furono anche otto. Fra l'altro erano molte le famiglie che facevano pressione per imbarcare qualcuno dei loro giovani e non mancarano neanche casi di clientelismo.
Tuttavia la balestra era un'arma ormai destinata al tramonto. L'archibugio venne introdotto gradualmente e qualche volta l'innovazione ebbe qualche resistenza.
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In occasione della battaglia di Lepanto del 1571 gli archibugieri spagnoli, veneziani, pontifici ecc. furono uno degli elementi che contribuirono alla vittoria contro i turchi. All'epoca c'erano ancora molti balestrieri ma sembra che,  in quell'occasione, l'idea di utilizzare al meglio gli archibugi fu del genovese Gianandrea Doria. Sul fronte turco erano muniti di archibugio anche diversi giannizzeri e nella citata battaglia, con tale arma, rimase ferito anche Miguel de Cervantes, poi autore del famoso romanzo Don Chisciotte della Mancia.

domenica 29 novembre 2015

La prova del fuoco del 1068

Nel medioevo capitava che, con una prova estrema, qualcuno per dimostrare qualcosa si sottoponesse al giudizio divino.
Sembra che questa pratica avesse origini longobarde. Le modalità di tali prove estreme erano diverse. Una delle forme più ricorrenti era la c.d. prova del fuoco. A quanto pare ci furono alcuni casi nei primi tempi dell'Inquisizione.
Qualche volta talune di queste "prove" sono ricordate, magari in occasione di qualche manifestazione di stampo medievale. Fra queste c'è il caso del monaco Pietro che il 13 febbraio 1068 si sarebbe fatto una passeggiata sui carboni ardenti. La dimostrazione avvenne nei pressi di Firenze e con tale sistema il citato personaggio intendeva confermare alcune accuse nei confronti del vescovo della città toscana. L'esperimento indusse la popolazione a sollevarsi contro il vescovo Mezzabarba all'epoca sostenuto da Goffredo il Barbuto e Beatrice di Canossa.

locandina festa medievale in Scandicci anche in ricordo della prova del fuoco del 1068

Giovanni Gualberto, uno dei principali accusatori del vescovo Mezzabarba
Dipinto di Luca di Tommè (fonte wikipedia)


Il monaco in questione fu poi ricordato come Pietro Igneo e pare provenisse dalla nobile famiglia degli Aldobrandeschi. Secondo le cronache lo stesso morì in quel di Albano Laziale  dove fu vescovo fino al 1089 circa. Un dipinto di Marco Palmezzano fu dedicato alla sua prova del fuoco.

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venerdì 27 novembre 2015

Artisti con archibugio

Notoriamente il Sacco di Roma del maggio 1527 fu un evento tragico per l'Urbe e in quell'occasione furono danneggiate anche diverse opere d'arte.

l'episodio in un'incisione dell'artista fiammingo Hieronymus Cock 

Tuttavia nei primi giorni dell'assedio dei Lanzichenecchi e compagni, ci fu un episodio particolare. Il comandante degli assedianti Carlo III di Borbone, connestabile di Francia, morì per le conseguenze di un colpo di archibugio sofferto mentre era a Porta Torrione. Non si sa bene come andarono le cose ma la rosa dei possibili "cecchini" (muniti di archibugio) comprendeva alcuni artisti che erano presenti e armati. Il primo di questi era Benvenuto Cellini che un po' se ne vantò ma fra i possibili archibugieri, a quanto sembra, c'erano anche due amici del Cellini, poi il pittore Giovanni da Udine (della bottega di Raffaello) e infine due bravi orefici (Francesco Valentino e Bernardino Passeri). Pare infatti che fossero un po' tutti, fuori dalla mischia, in un punto dove si poteva ben osservare e sparare. Qualche ora dopo, il ferito morì presso il Convento di S.Onofrio al Gianicolo, ma la morte del comandante degli "imperiali" non evitò poi il Sacco di Roma.

giovedì 26 novembre 2015

Pio V , dalle corride alla battaglia di Lepanto

Anche se la tutela degli animali sembra a molti un argomento relativamente recente, va riferito che papa Pio V nel novembre 1567 emanò una bolla per scoraggiare corride e manifestazioni simili. Da quello che sappiamo, già a Pamplona c'erano manifestazioni come quelle attuali ma probabilmente all'epoca diverse città, oltre alle corride in luoghi circoscritti, avevano eventi che, come la festa di San Firmino, coinvolgevano i buoi fuori da recinti ecc.

Pio V in un dipinto di El Greco, foto da wikipedia

Si tratta della bolla " De Dominici gregis Salute" con la quale vietava espressamente alcune tradizioni che in Spagna avevano spesso il favore popolare. Ad esempio censurava :" quegli spettacoli dove i tori corrono belve nel circo o in pubblica piazza". Tali spettacoli, osservava il pontefice, non hanno nulla a che vedere con la pietà e la carità cristiana .
All'epoca Filippo II , re di Spagna, non diede molto seguito a questa e altre richieste papali (esempio: maggiore umanità nei confronti degli indios d'America). D'altra in Spagna avevano, come giustificazione, numerosi problemi interni dopo la Reconquista di molte zone prima controllate dagli islamici.
E in effetti, all'epoca, il principale problema era proprio il confronto con gli islamici ed in particolare con i turchi che erano sempre più insidiosi.
Lo stesso Pio V si impegnò presto in quella che fu una delle principali operazioni del suo pontificato. Mentre gli ottomani assediavano l'isola di Cipro (fino a quel momento controllata dai veneziani), il papa riuscì a organizzare quella Lega Santa il cui principale risultato fu la battaglia navale di Lepanto del 7 ottobre 1571.


documento relativo all'armata navale conservato a Bosco Marengo in Piemonte (paese natale di papa Pio V) ; foto arpav 2015

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Per i curiosi lo stendardo che Pio V affidò a Marcantonio Colonna , uno dei protagonisti di Lepanto, è ancora conservato nel museo diocesano di Gaeta.

mercoledì 25 novembre 2015

Palermo islamica, descritta da tale Ibn Hawqal

Della Palermo in periodo islamico non è rimasto quasi nulla. Quello che oggi si vede (ed è tanto) è del periodo normanno quando ancora gli islamici erano ancora molto numerosi.
Però ogni tanto si legge qualche racconto dell'epoca. Uno di questi è di un tale Ibn Hawqual (di Bagdad) che si trovava in visita e che sul numero molto elevato delle moschee in città ebbe a commentare che le stesse erano forse molto numerose perchè, secondo la sua impressione, i palermitani del tempo, per motivi di prestigio, si compiacevano di costruirne per usi quasi privati. Alcune moschee, secondo la sua descrizione, erano talmente vicine che non c'era alcuna pratica giustificazione.
Quando i normanni occuparono Palermo era infine rimasto un solo vescovo cristiano (Nicodemo, leggi a parte).

particolare di San Giovanni degli Eremiti

Il cronista osservava però molte altre cose e contestava facilmente gli abitanti e le loro abitudini (aggiungendo che forse non ci tenevano tantissimo alla pulizia ecc).

ortaggi e verdure al mercato della Vucciria

La critica era perfino sugli aspetti alimentari. A parte il fatto che erano costretti a bere spesso acqua di pozzo, i palermitani dell'epoca amavano molto le cipolle (tanto da mangiarne più volte al giorno) e ciò secondo lui aveva anche degli effetti psicologici. Comunque ci sembra che, ai giorni nostri, ci siano residue evidenze di quest'antico amore nel c.d. sfincione (negli ingredienti ci sono anche le cipolle) e in poche altre specialità locali.

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Per saperne di più si può leggere anche il volume di Amedeo Faniello "Sotto il segno del Leone"

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Pagine pertinenti in siti collegati:
Palermo e Monreale nel medioevo
Monetazione islamica e normanna in Sicilia

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